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Il completamento del ddl Pillon: modifiche al codice penale


Congiuntamente al Ddl 735, noto come Ddl Pillon, viene discusso il d.d.l. 45 (relatrice De Poli), tutti recanti disposizioni in materia di “affidamento condiviso, mantenimento diretto e diritto alla bigenitorialità”, ma che introduce delle significative modifiche ad alcuni articoli del codice penale.
Le linee guida sottese a questo disegno di legge sono le stesse del ddl 735, e per comprenderne la portata è sufficiente leggere la relazione introduttiva al testo, inquietante nel tentativo di spacciare per verità un cumulo di affermazioni prive di qualsiasi riscontro statistico e scientifico.
La relazione esordisce non solo codificando la sindrome di alienazione parentale (PAS), ma addirittura indicandola come un fenomeno in aumento (senza citare alcun dato in proposito) e perciò produttivo di diffuso allarme sociale.
Ora, la PAS non ha ricevuto alcun tipo di riconoscimento scientifico non essendo stata inserita nel manuale delle malattie psichiatriche (c.d. Dsm), segnalata come truffa dalla comunità scientifica e dagli organismi internazionali di tutela dei diritti umani (cfr. CEDAW Committee, Concluding observation on Italy, 2011, 2017).
La relazione prosegue citando una non meglio precisata “letteratura scientifica” ed “analisi sociologica” secondo la quale, a seguito della rottura del rapporto interpersonale dei genitori, sistematicamente i figli verrebbero privati dell’apporto di uno dei due genitori (generalmente il padre), determinando nei minori l’insorgere dei sintomi della PAS (sempre senza fornire dati) e un’alta conflittualità tra i coniugi.
In conclusione veniamo informati che negli ultimi trenta anni si sono separate circa 3,4 milioni di persone con 2,7 milioni di minori coinvolti.
Come se tra il numero di persone separate, l’insorgenza di conflittualità coniugale e lo svilupparsi nei minori della PAS ci fosse un qualche inesorabile legame. 
In realtà la citata conflittualità tra coniugi è statisticamente limitata, dato che l’82% delle separazioni è consensuale e l’affidamento condiviso è applicato nell’89% dei casi, mentre l’affidamento esclusivo è ristretto all’8,9% .
Pertanto, ciò che questa relazione lascia intendere è che le donne sistematicamente manipolino e strumentalizzino i figli per lucrare economicamente sulla separazione, privando i padri del legame affettivo con i minori, denunciandoli falsamente di maltrattamenti e altre forme di violenza, quando in realtà i veri dati statistici parlano di casi di femminicidio e maltrattamenti intrafamiliari in aumento (si veda la Relazione della Commissione di inchiesta sul femminicidio 2018 ). Le condanne per violazione degli obblighi familiari, poi, sono il doppio di quelle per maltrattamenti.
A dimostrazione di siffatto impianto vi è l’art. 3 del citato disegno di legge, ove vorrebbe integrare l’art. 368 del codice penale in materia di calunnia, prevedendo la sospensione della potestà genitoriale (che dal 2013 si chiama responsabilità genitoriale, ma tant’è) in caso di accuse di un genitore contro l’altro.
Con ciò introducendo una sorta di sanzione accessoria prevista unicamente per i rapporti intrafamilari, che priva il genitore di ogni diritto sui figli e costituisce pertanto un efficace deterrente a denunciare.
E noi sappiamo che la stragrande maggioranza delle denunce riguardanti maltrattamenti e violenze familiari sono donne (79, 2% nel 2016, secondo i dati dello SDI Sistema di indagine del Ministero dell’Interno).
Anche il reato di violazione degli obblighi familiari viene stravolto, riducendo le pene edittali e introducendo una nuova condotta di reato: accanto al genitore che si sottrae agli obblighi di assistenza, di cura ed educazione dei figli minori (reato ad alta incidenza statistica come abbiamo visto) verrebbe analogamente condannato per violazione degli obblighi familiari il genitore che priva i minori dell’altra figura genitoriale.
Analogamente, per quanto riguarda il reato di maltrattamenti, le pene edittali vengono ridotte e le condotte di reato si limitano alla sola violenza fisica o psichica (escludendo quella economica e sessuale attualmente sanzionate), richiedendo peraltro il requisito della sistematicità dei maltrattamenti, che non tiene conto della ciclicità del comportamento maltrattante nelle relazioni intime, che alterna momenti di violenza a momenti di normalità, pentimenti, riconciliazioni.
In entrambi i reati, oltre alla citata diminuzione delle pene edittali, si aggiunge l’introduzione della sanzione sostitutiva dei lavori di pubblica utilità, prevedendo pertanto che il condannato possa scontare la pena svolgendo qualche ora di lavoro presso enti pubblici o di volontariato, con conseguente estinzione del reato.
In definitiva questo disegno di legge restringe le possibilità di giungere a condanna per gli imputati dei reati di maltrattamenti in famiglia e violazione degli obblighi familiari, offrendo, anche in caso ciò avvenga, una sanzione alternativa che ha un minimo impatto sulle loro vite e che non compare nel loro casellario giudiziale.
Diversamente, per il genitore che privi il minore dell’altra figura genitoriale (e ciò indipendentemente dalle ragioni, che possono sottendere una situazione abusante) viene introdotta una nuova condotta di reato, che può essere colpita anche con la sospensione della responsabilità genitoriale (nel caso in cui il genitore non riesca a provare la veridicità delle sue accuse di maltrattamenti, e sia raggiunto da una condanna per calunnia).
Il fenomeno dei femminicidi in aumento dimostra quanta strada debba essere ancora percorsa per fronteggiare il problema, e l’impianto di queste leggi non può far altro che farci arretrare, non solo giuridicamente ma anche culturalmente, rispetto alle insufficienti conquiste faticosamente raggiunte finora. 
Per queste ragioni non è sufficiente che questi disegni di legge vengano modificati, ma debbono solo essere ritirati.